La confusione normativa rafforza la presenza di “Piccoli mostri nell’armadio”.
Si chiama così una recente ricerca di Greenpeace che mette nero su bianco la pericolosità di alcune sostanze nocive rilasciate dagli indumenti per bambini, anche di note marche d’abbigliamento. Si tratta di sostanze che vanno a incidere sulla salute dei più piccini, la cui pelle è molto sensibile.
L’unica difesa è preferire capi con marchi di garanzia sui sistemi di produzione e sulle sostanze impiegate per la realizzazione del prodotto finale.
GLI ULTIMI STUDI
La ricerca di Greenpeace “Piccoli mostri nell’armadio” non soffre di solitudine. A tenerle compagnia c’è Chemical substances in textile products and allergic reactions, studio commissionato dalla Commissione Europea dove si evidenzia che circa l’8% delle patologie dermatologiche sono dovute ai vestiti. L’Associazione dei consumatori Altroconsumo, invece, nel 2008 ha condotto un test per il dossier Sostanze tossico-nocive negli abitini per bambini, dove è emerso che i pigiami di una marca venduta in Italia contenevano sostanze pericolose in grado di scatenare allergie o possibili effetti cancerogeni.
SOSTANZE PERICOLOSE
Nei prodotti finali indossati dai bambini possono essere presenti dei residui di lavorazione che a lungo andare potrebbero causare danni. La formaldeide, utilizzata nei tessuti per fissare le tinte, è irritante per le mucose e potrebbe provocare dermatiti da contatto; per arginare il problema è bene lavare i capi varie volte, perché è una sostanza idrosolubile, eliminabile con lavaggi frequenti.
Gli ftalati sono utilizzati dall’industria tessile sia in alcuni coloranti sia per rendere più flessibili le materie plastiche, quindi nell’abbigliamento si trovano soprattutto nei capi colorati e decorati con stampe plastificate. Possono migrare dalla plastica alla pelle, il problema è che si sospetta che alcuni di essi creino scompensi ormonali. L’Unione europea ha classificato due tipi di ftalati (Deph e Dpb) come “tossici per la riproduzione” perché da alcuni test condotti su cavie da laboratorio è emerso che riducono la fertilità maschile. Per correre ai ripari, in Europa in tutti gli articoli destinati all’infanzia, i residui di ftalati non devono superare lo 0,001%.
I coloranti azoici rientrano tra le pricipali sostanze usate nell’industria tessile, ma alcuni di essi durante l’uso rilasciano particolari sostanze chimiche (ammine aromatiche) che potrebbero causare effetti cancerogeni. L’Unione europea ha messo al bando l’uso dei coloranti azoici, tuttavia, il problema rimane per i capi di abbigliamento prodotti al di fuori del territorio europeo.
I metalli pesanti come cadmio, piombo e mercurio vengono utilizzati in alcuni coloranti e pigmenti. Possono accumularsi nel corpo con effetti tossici, infatti, potrebbero danneggiare il sistema nervoso o il fegato.
ACQUISTI SICURI
Per garantire la salute dei più piccoli e salvaguardare l’ambiente, si può optare per l’acquisto di indumenti sottoposti a controlli e certificati da marchi di garanzia. Tra le migliori certificazioni spiccano: Oeko-tex®, la più diffusa a livello internazionale, garantisce e certifica il controllo del sistema di produzione e delle sostanze impiegate per la realizzazione del prodotto finale, non trascurando l’aspetto della minor emissione di sostanze inquinanti per l’ecosistema; Global organic textile standard (Gots), affidabile certificazione internazionale per i tessuti biologici, garantisce la qualità dell’intera filiera dalla semina delle materie prime fino al processo di esportazione, incluso il controllo della qualità delle condizioni di vita dei propri lavoratori; Naturtextil, diffusa soprattutto in Germania, è una certificazione che prevede la presenza di fibre ecologiche certificate al 100% e allo stesso tempo vietata l’introduzione di fili di ricamo o decorazioni che non siano composti esclusivamente da fibre naturali.
NORMATIVE E CONTROLLI
Le normative per la sicurezza dei prodotti tessili in circolazione ci sono. Si parte dalle leggi nazionali, adottate cioè dai singoli paesi, a cui seguono le norme – ISO, CEN, UNI, che regolano gli aspetti tecnico-qualitativi (requisiti fisici, solidità e così via) e le metodologie analitiche per ricercare le sostanze pericolose potenzialmente presenti. Poi non vanno dimenticati i requisiti privati – marchi e capitolati, predisposti dalle stesse aziende che si basano su Restricted substances lists Rsl, elenchi specifici di prodotti chimici il cui uso è vietato o ammesso solo con criteri fortemente restrittivi.
Nei processi di ideazione, fabbricazione e commercializzazione degli indumenti, le imprese devono rispettare i requisiti richiesti dal sistema legislativo e normativo. La presenza nelle varie regolamentazioni di elenchi di sostanze e di limiti diversi per una singola sostanza, però, crea disorientamento, tra l’altro, a livello internazionale, sono tenuti ad aderire solo i produttori europei.
PROBLEMATICHE IRRISOLTE
Nel Belpaese i controlli da parte di Nas, Asl e ministero della Salute avvengono a posteriori, cioè se è il cittadino a segnalare presunte anomalie, magari dopo aver notato reazioni allergiche. Il marchio made in Italy da solo non è garanzia di sicurezza, perché possono avere questa dicitura anche i prodotti confezionati in Italia ma con tessuti importanti da Paesi extraeuropei, che adottano normative poco restrittive.